E’ difficile descrivere il tuo locale. Sì insomma come lo vedi tu che ci sei dentro da oltre quarant’anni non lo vede nessun altro…O no? Io mi sono sempre chiesto che cosa provi una persona nel momento in cui entra da U Giancu. “Quante cose strane ci sono dappertutto!”…“E’ un ristorante di campagna? “…“Quel cappellino non l’avevo ancora visto!” Come in tutti i locali che si rispettino i lavori sono sempre in corso. Non ci sono pause, bisogna sempre aggiungere qualcosa e togliere qualcos’altro.
E il difficile è proprio lì. La mia famiglia ed io ci proviamo da sempre. Spero che la sensazione che si prova entrando sia un misto di allegria, felicità e spensieratezza mescolata con un buon appetito. In fondo è pur sempre un ristorante. Alle pareti ci sono oltre 700 disegni originali, moltissimi dei quali dedicati, fatti da autori di tutto il mondo. Alcuni fanno sorridere, altri fanno pensare. Quello che io spero è che “ti ci facciano sentire bene”, a tuo agio. Con la gioia di esserci e la voglia di tornarci.
“Bianco o rosso?” Questa la domanda classica che si faceva al ristorante negli anni ’60. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Oggi tutti siamo più informati ed in grado di fare una scelta più mirata. Termini quali: brut, morbido, cru, magnum e fruttato non sono più così astrusi.
Anche U Giancu si è evoluto con il passare del tempo. Al “timone” della nostra cantina ora c’è Martino che appartiene alla terza generazione “gianchesca”. Da parte sua c’è molta attenzione verso i vini naturali.
Tra le oltre 300 etichette cerca di privilegiare le piccole produzioni e i vitigni autoctoni vinificati con metodi biologici o biodinamici, anche se non mancano i grandi vini della tradizione enologica italiana. La carta è divisa in regioni per una più facile consultazione, con una particolare attenzione alle bottiglie di formato piccolo che sono sempre più richieste. E, ultima nata, la pagina dedicata ai vini francesi e ovviamente un occhio speciale per gli Champagnes che sono molto graditi al cantiniere.
1960
U Giancu, sua moglie Rina e sua sorella Lice decidono di subentrare ai gestori della vecchia osteria di paese, allora punto di ritrovo degli abitanti per bere qualche bicchiere di vino e scambiare qualche parola. Un po’ per caso e un po’ per passione la Nonna Rina comincia a cucinare e dà inizio all’avventura.
1970 espandi&spendi
La cucina è diventata troppo piccola, la sala pure. Si decide di spostare il ristorante, anzi di costruirne uno nuovo. Sempre nella stessa strada, 100 metri più indietro. Ora c’è un locale bello e spazioso, ma manca ancora qualcosa.
1975-80
U Giancu si popola pian piano di tanti personaggi buffi. I primi arrivano da Rapallo, poi lo raggiungono altri dall’Italia e alla fine da tutto il mondo. Fatto sta che piano piano non ci sarà più un centimetro di muro vuoto.
XXI secolo
U Giancu è ancora in metamorfosi. C’è sempre qualche modifica, qualche fumetto che si aggiunge, qualche idea fuori di testa. Qualsiasi cosa pur di cambiare, lentamente ma mai fermi. Spesso e volentieri sotto la guida attenta e ferma di mia moglie Adriana e con il supporto creativo di mio figlio GB.
Ecco gli ingredienti utilizzati da Sergio Bianco per creare il nostro Simbolo.
Il primo è un albero poichè il ristorante è nel bosco, in mezzo alla Natura.
L’albero ha la chioma tondeggiante come la nuvola del fumetto. E due!
Il terzo ingrediente è una testa tipica dei cartoons: grandi orecchie, stile Yellow Kid, senza capelli, naso per aria e sguardo rivolto al cielo.
La luna, quarto ingrediente, si specchia sul viso di chi ha un desiderio.
La testa possiede la forza universale del sorriso, il quinto elemento.
La bocca è aperta, ghiotta di stupore, cibo e allegria…
Il tronco dell’albero, no alla punta estrema della radice, evoca il colletto del giullare (e sei) in linea con la cordialità del servizio.
La mezzaluna ricorda la “cuisine” , lo strumento del mestiere, e la saggezza contadina delle fasi lunari.
Il cerchio centrale è il fulcro della tavola, settimo ingrediente, e luogo sacro in cui le persone si ritrovano.
Nella visione aerea se ne distinguono tre : il tavolo non è pieno, ma è pronto ricevere un nuovo ospite, metafora di accoglienza e apertura verso nuove idee.